sabato 16 agosto 2014

Giustizia per tutti - racconto

Posto un vecchio raccontino. Non ricordo quando l'ho scritto, di preciso, perché non ho inserito la data, ma dovrebbe risalire ad un paio di anni fa. Non mi piace molto, troppi spiegoni, secondo me, e non condivido più l'impostazione della narrazione. Non ho toccato nulla e corretto niente. Buona lettura.

Il giovane sedeva al centro della stanza. La sua testa era leggermente inclinata a destra e i suoi occhi fissavano il vuoto, attirati da chissà quale invisibile forza. Le sue mani, strette nella morsa delle manette, erano ancora lorde di sangue. Improvvisamente nella stanza entrò un uomo, sulla quarantina, giacca e cravatta, e un cappello a larghe tese piazzato sul capo; il suo viso granitico non lasciava trasparire alcuna emozione. L’uomo si sedette di fronte a lui, accendendosi una sigaretta:  «Sono l'ispettore Gravin», disse in modo lapidario. Il giovane si schiarì la voce: «Io mi chiamo James». «Lo so, ragazzo...», fece l’ispettore, aspirando lungamente la sua sigaretta, «Piuttosto, ti rendi conto di quello che hai fatto?... Hai ridotto un uomo in fin di vita … e nemmeno lo conoscevi, stando al rapporto...». Il giovane annuì: «Mi rendo perfettamente conto di quello che ho fatto... e lo conoscevo». L’ispettore annuì a sua volta: «Deve aver fatto qualcosa di grosso, per averti spinto a ridurlo in quel modo». Il giovane emise un sospiro: «Lui … ha violentato una ragazza», disse. L’ispettore diede un’altra aspirata alla sua sigaretta, quindi parlò: «E come lo sai... lo hai seguito?», chiese. Il giovane scosse la testa: «No... seguivo lei...». L’ispettore sgranò gli occhi: «Non capisco...». Il giovane deglutì sommessamente: «Ricorda la ragazza stuprata in un parcheggio, due settimane fa? Fu quell'uomo a farlo!». L’ispettore mise il suo cappello sul tavolo e cominciò a grattarsi nervosamente il capo: «Un momento … mi stai dicendo che tu eri lì?», fece, «Ma perché la seguivi?». «L’ho vista per strada una volta  e me ne sono innamorato a prima vista … non avevo il coraggio di dichiararmi … così ho preso a seguirla senza mostrarmi mai … al lavoro, fino a casa, per giorni. Non avevo cattive intenzioni … lei mi piaceva, e mi faceva star bene guardarla, tutto qui». L’ispettore appariva spazientito: «Va bene, va bene… ma a parte questo… non hai fatto nulla, mentre veniva stuprata?». Il giovane abbassò mestamente il capo: «No... ero nascosto. Lei era così bella … poi quell’uomo le si è avvinghiato contro  e … e sono rimasto a guardare...».  L’ispettore decise di rimanere in silenzio, mentre il giovane continuava con il suo racconto: «Sono rimasto a guardare, perché... perché avevo paura... non sapevo cosa fare… avevo paura per lei … pregavo perché quella violenza finisse… pregavo perché volevo che non soffrisse… ma non finiva… lui non finiva mai…». L’ispettore sospirò stancamente: «Sei stato tu poi a chiamare la polizia?». Il giovane scosse ancora la testa: «No... l'ho lasciata lì in lacrime, sanguinante... sono tornato a casa e mi sono masturbato...». L’ispettore non credeva alle sue orecchie; ne aveva sentite di stronzate nella sua vita, e ne aveva le palle piene di storie contorte, ma quella le batteva tutte. L’unica frase che fu in grado di pronunciare fu questa e lo fece scandendo ogni singola parola: «Tu - sei - malato...». Il giovane non riuscì a trattenere le lacrime e si tenne disperatamente la testa tra le mani: «Sì, lo sono! E sono stato male per questo... quando c'è stato bisogno di me... quando potevo aiutarla... io sono rimasto in disparte...», disse singhiozzando, «Mi sono sentito così impotente...». Ormai la sigaretta tra le labbra dell’ispettore Gravin era un mozzicone, ma lui continuava a tenerla in bocca: «Quindi hai pensato di vendicarti...», sentenziò. James sollevò lentamente il capo: «No... non vendicarmi... ma fare giustizia... punirlo nel giusto modo». Gravin assunse un’espressione compassionevole: «James… io ti capisco… ma con la tua testimonianza, potevi aiutarci a catturarlo… ce ne saremmo occupati noi… non dovevi sporcarti le mani», disse, «Comunque sia alla fine però lo hai preso... come hai fatto?». James abbozzò un sorriso: «Lei crede nel destino?». L’uomo assunse adesso un’espressione confusa: «Perché mi fai questa domanda, James?». Il giovane sollevò la testa verso il soffitto, fissando misticamente il vuoto: «Perché un giorno, senza un motivo preciso, io l'ho incontrato... era lì, in mezzo alla folla, in strada, e l'ho visto... io non dimentico mai una faccia, mai...», disse, «Un caso, destino, lo chiami come le pare… in ogni caso mi è stata data l’opportunità di fare quello che non avevo fatto allora: giustizia...». L’ispettore si grattò il mento: «Quindi lo hai seguito?». Il giovane tornò a guardare orizzontalmente, verso Gravin, trattenendo a stento un’inquietante risata: «Sì, l'ho fatto... l’ho tenuto d’occhio per una settimana: aveva moglie e figli, sa? Un borghesuccio con la sua villa, il cane e la sua patetica vita... ho seguito ogni suo spostamento... e quando mi è capitata l'occasione... ho agito!». Gravin annuì stancamente: «Hai agito, sì… certo è ancora vivo... ma gli hai mozzato braccia e gambe... gli hai tagliato le orecchie, la lingua, il pene... è ridotto un colabrodo... eppure vivrà». James emise un profondo respiro: «Ho fatto giustizia... non potrà fare più nulla da solo… e vivendo, guardando il suo stato, rammenterà per sempre e comprenderà la gravità del suo crimine!», esclamò, «Cosa devo fare, adesso?», chiese poi. Gravin gli diede una piccola pacca sulla spalla: «Andare in galera, James», sentenziò, «Come lui ha pagato per il suo crimine, tu devi pagare per il tuo!». James annuì sorridendo: «Mi sembra equo», disse.

DUE SETTIMANE DOPO

James era nella sua cella, disteso sulla sua branda. Fissava il soffitto, rammentando le ultime parole di Gravin: «Probabilmente ci saranno le attenuanti, ragazzo, e uscirai prima di quanto pensi… e fammi un favore… quando vedi una ragazza, non seguirla come un maniaco: presentati, sposatela e facci tanti figli!». Queste parole lo facevano ancora sorridere. Improvvisamente la voce del secondino lo fece sobbalzare: «456732... in piedi, hai una visita...». James si alzò di scatto: «Chi è?», chiese sbalordito, in quanto non riceveva visite, da quando avevano tutti saputo cosa aveva fatto. Il secondino fece spallucce: «Una ragazza... dice di volerti vedere». Il giovane fu trasportato nella sala visite. Oltre il vetro c'era lei. Aveva un sorriso angelico stampato sul volto: poggiò la sua candida mano sul vetro: «Grazie...», sussurrò dolcemente. James si avvicinò al vetro e fece lo stesso gesto, ponendo la sua mano in corrispondenza dell’altra: «Prego», e sorrise come mai aveva sorriso in vita sua.

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