mercoledì 25 novembre 2015

I mercati del fumetto

Credo che sia utile, per chi vuole intraprendere il lavoro di fumettista, avere alcuni utili consigli: innanzitutto serve forza e perseveranza (purché non sfocino nella follia, sennò vi ritrovate con una mente malata come la mia)... l'umiltà la imparerete strada facendo, nessuno pretende che siate umili... scommetto che molti di voi non sanno manco cosa significa! Ma ci arriverete! Inoltre dovrete preparavi ad accettare numerosi no e tanti forse, ma se questo è quello che sentite di voler fare, allora resistete. Pensare che io mi sono dato a questo mestiere perché sono andato ad esclusione, dato che qualcosa nella vita si deve pur fare: il lavoro di ragioniere mi avrebbe spinto al suicidio dopo una mezz'oretta buona, mentre purtroppo la mia esile prestanza non mi ha permesso di darmi al porno (quest'ultimo lavoro mi avrebbe reso eternamente felice!).

Come prima cosa credo sia utile valutare i maggiori mercati a cui rivolgere le proprie attenzioni, questo anche in base al proprio background, ovvero se siete solo interessati a disegnare, o magari a sceneggiare, oppure se considerate voi stessi autori completi e intendete presentare dei lavori realizzati interamente con le vostre forze.
  
Italia
Per chi nasce in Italia, il mercato italiano è, per forza di cose, la prima scelta ovvia; a meno che non siate affermati, le paghe sono molto basse e qualora voleste affrontare la carriera di autore completo, il mercato purtroppo non offre sbocchi significativi, ecco perché molti pubblicano storie sui propri blog sperando di essere notati (tipo il sottoscritto): oggi giorno, molte case editrici preferiscono declinare la pubblicazione si progetti altrui, perché non ben disposte verso idee che potrebbero essere solo uno spreco di soldi e non portare profitti (in ogni caso, sono stato testimone di alcune idee decisamente più interessanti di quelle proposte dalla casa editrice, venir comunque cassate, perché boh, all'editor gli girava così).
Per molti che cercano lavoro in Italia, il primo publisher a cui ci si rivolge è ovviamente la Bonelli: da quando il grande Sergio è venuto a mancare non la seguo più e so che con l'avvento del Recchione lì, sono cambiate molte cose, anche se a grandi linee la direzione è rimasta la stessa. I miei maestri mi dicevano che lavorare per Bonelli significava stare bene a vita e non preoccuparsi più dei soldi... avevano ed hanno ragione. La Bonelli è probabilmente, in Italia almeno, la casa editrice che paga di più: c'è addirittura chi vive realizzando solo cover mensili, anziché interi albi. Il pagamento dipende ovviamente anche dalla serie sulla quale si lavora e, come al solito, da quanto siete affermati: fino a qualche anno fa, Tex, era il fumetto con il maggior numero di copie vendute (e quello anche più pagato), oggi, non saprei. Ci fu comunque, tempi addietro, un periodo in cui Dylan Dog superò persino la tiratura del noto ranger, tant'è che furono aumentati gli stipendi di chiunque ci lavorasse: allora, realizzare anche un solo albo di Dyd, significava comprarsi una casa e uno yacht pronti contanti... so che molti di voi hanno già l'acquolina in bocca, e magari sognano ad occhi aperti le fiere in cui essere trattati da nababbi e superstar, ma dovete considerare il problema maggiore: riuscire ad entrarci in Bonelli! Eh, sì, perché bisogna trovarsi al posto giusto e al momento giusto, oppure, più semplicemente, essere davvero bravi (c'ho provato anche io, qui la mia esperienza).
Inoltre Bonelli continua a tenere una certa rigidità nella struttura della pagina, che va da un minimo di 6 vignette ad un massimo di 9: non è possibile sbordare, né azzardare troppe inquadrature all'americana (questa era proprio una cosa che Sergio Bonelli detestava). Certo, questo standard ha influenzato parecchi editor "nati" dopo, tant'è che ormai si parla di gabbia Bonelliana.
In ogni caso, stanno sorgendo nuove realtà editoriali, piccole case editrici, che potrebbero essere utili per farvi le ossa e lanciare la vostra carriera. Dopotutto da qualche parte dovete cominciare (io ho cominciato dai quotidiani). Potreste rivolgervi alla Cagliostro (se siete autori completi, statene alla larga, perché al momento Cagliostro pubblica solo prodotti propri), alla Tunué, e via dicendo. Contattarli anche tramite i social network non costa nulla, e se sono educati e interessati vi risponderanno. Insomma, cercate e provate.  

Francia
Dopo l'Italia c'è la Francia, quale piatto più ambito per molti professionisti. Il mercato francese è sempre molto aperto a nuove proposte editoriali e predilige tutti gli stili: chi non trova lavoro in Italia può provare a contattare un editor francese (anche perché molte case editrici francesi pubblicano anche in altre regioni, come la Spagna... nel senso che hanno filiali anche lì!). La Soleil la fa da padrone, ma c'è ne sono tante altre; su Wikipedia c'è un bell'elenco a cui vi rimando qui.
La gabbia delle loro pagine è molto libera, in quanto è possibile sbordare, portare le figure fuori dalle vignette e via dicendo. Inoltre tutti i loro albi sono sempre di grande formato e a colori, anche se non è raro che venga prodotta una copia in b/n per valorizzare il tratto del disegnatore, quando incredibilmente bravo, così che i lettori possano apprezzarne i disegni al naturale. Le pagine degli albi non superano mai la cinquantina (variando tra 40 e 48), e questi sono solitamente quasi sempre cartonati, come i libri (ciò che apprezzo del mercato francese è che loro ci tengono davvero tanto al fumetto e alle arti in generale e le rispettano oltre ogni misura). La paga è decisamente più alta che in Italia, tant'è che la retribuzione di una singola tavola equivale a due della Bonelli... non male. Anche il numero di vendite, talvolta, supera quello italiano: Vittorio Giardino, ad esempio, in Francia vende il triplo, di quanto vende in Italia! Il punto è che per lavorare in Francia dovete davvero aver fatto colpo, altrimenti col cavolo che si scomodano a venirvi a cercare!

America 
L'America è il sogno di tutti. Persino gli esordienti vengono retribuiti il giusto e anche le piccole case editrici pagano bene... io vengo pagato, ad esempio, quanto un mio amico che lavora per l'Aspen Comics: non molto, ma neanche poco...
Se volete essere pagati tanto, però, dovete dirigervi verso le produzioni grosse, e contattare Marvel e DC. Un esordiente (nel senso che esordisce sulle loro testate, ma che ha già all'attivo qualche altro lavoro) in DC viene pagato 300 dollari a pagina... figuratevi un professionista con i controcazzi... ovvio, poi, che più sei famoso, più puoi tirare sul prezzo e battere cassa: c'è chi si fa pagare a peso d'oro anche solo le matite. Le super star guadagnano davvero tanto... ma appunto, dovete essere delle super star. In ogni caso contattare una casa editrice americana non è così difficile come può sembrare, gli americani inoltre sono sempre molto aperti a nuove proposte e il loro mercato è talmente vasto che cercano sempre nuovi disegnatori. Potreste provarci. ma occhio al fuso orario, contattateli sempre dopo le sei del pomeriggio (se la casa editrice a cui vi rivolgete è della California)... io non ci credevo a questa regola quando mi è stata detta, ma poi ho potuto constatare la sua veridicità!

Giappone
Molti di voi sono fissati con i manga, oggi giorno... il problema è che se volete disegnare manga, dovete trasferirvi in Giappone... perché i manga vengono prodotti solo lì!
Molti esordienti oggi cercano d'imparare lo "stile manga", senza comprendere che il manga non è uno stile: il manga è il fumetto giapponese. Punto. Al massimo potreste ispirarvi ad un autore che disegna manga, ma non è la stessa cosa. Nonostante Ryoichi Ikegami, abbia uno stile iperrealista, disegna manga perché è giapponese e lavora in Giappone! Toglietevi dalla testa di fare manga, se vivete in Italia o in qualche altro posto che non sia il Giappone. Inoltre, lavorare nella terra del sol levante comporta anche numerosi stress, perché i ritmi di realizzazione di un albo sono molto più frenetici che in occidente (e soprattutto c'è un numero maggiore di pagine, che talvolta sfiora le 200!): lessi un'intervista di Akira Toriyama il quale sosteneva di avere dormito solo 20 minuti in una singola settimana, pur di consegnare le tavole... talvolta i mangaka sono persino costretti a pernottare nei propri studi, insieme agli assistenti, che vengono assunti per agevolare il lavoro, realizzando sfondi e personaggi secondari (insomma, tipo colonia). Gli assistenti, però, ti vengono dati solo quando cominci ad essere affermato, altrimenti nada; persino la paga è proporzionale alla fama, e ugualmente non altissima (a meno che non sei Go Nagai). Certo, lì in Giappone c'è sempre la valida soddisfazione di veder realizzati degli anime dalle proprie opere, quando queste raccolgono consensi... un motivo in più per trasferirmi lì: pensate ad un anime del Monaco! Un sogno che si realizza! :D
Comunque sia, per comprendere appieno la realtà editoriale giapponese, vi consiglio un fumetto chiamato "Bakuman", ambientato proprio nel mondo dei mangaka e che spiega numerosi retroscena sulla realizzazione dei manga, sulla disponibilità degli editor e via dicendo (e soprattutto su come vengono divisi gli introiti tra gli autori). Recuperatelo, perché potreste trovare numerose risposte alle vostre domande.

Per il momento è tutto. Magari la prossima volta vi dirò come provare a presentarvi in maniera decente ad una casa editrice (dato che di presentazioni, io, ne ho fatte parecchie).

venerdì 13 novembre 2015

Spectre - Le mie impressioni

Se non sapessi che il regista di Spectre è Sam Mendes (vincitore premio Oscar per American Beauty), io vi direi, senza indugio alcuno, che il film sembra diretto da Michael Bay alla sua prova migliore... 

 
Spectre si apre nel bel mezzo del giorno dei morti, in Messico, con i dieci minuti iniziali più spettacolari che ho visto ultimamente in un film... seguiti poi dall'intro più brutto che ho visto in una pellicola su Bond (e dopo quello di "Bersaglio Mobile", credevo non si potesse fare di peggio), coadiuvata da una canzone davvero orribile (non me ne voglia Sam Smith... ma che non osi più avvicinarsi ad un film di 007!). 
La formula degli spettacolari dieci minuti iniziali viene poi ripetuta fino alla nausea per tutte e due le ore di girato, sacrificando per buona parte la credibilità scenica che si era riusciti a costruire nei film precedenti: Bond salta, si lancia da edifici, si sfracella con aeroplani, e sempre senza un graffio, uscendo praticamente illeso da ogni situazione, manco fosse l'uomo d'acciaio; inoltre tutti i suoi nemici sono affetti da devastanti cataratte, dato che quando provano a sparargli non riescono mai a colpirlo, persino da distanza ravvicinata; invece a lui basta un singolo colpo per mettere fuori combattimento tutti quanti (per non parlare del fatto che riesce ad abbattere un elicottero con... una pistola). Insomma, se la cosa funziona per almeno mezz'ora, ed è anche divertente da vedere, dopo un po' viene a noia, perché sappiamo che tanto non gli capiterà mai nulla... quindi che senso ha seguire le avventure di un uomo (se così possiamo chiamarlo) praticamente invincibile? Soprattutto se queste avventure sono prive di colpi di scena, con personaggi buttati un po' nel mezzo perché boh, così facciamo numero, concatenati da situazioni che si susseguono in modo pressoché identico e con dialoghi al limite del ridicolo (se io dicessi le stesse puttanate che 007 dice alle donne per sedurle, mi beccherei un paio di schiaffi... lui se le porta a letto, invece). 
Inoltre, la Spectre del titolo non sembra costituire una grande minaccia, come almeno si evinceva dal trailer, e il suo legame con i villains dei film precedenti è piuttosto forzato, anzi: sembra proprio attaccato con lo sputo. Mentre ci dirigiamo stancamente al finale, neanche Christoph Waltz (che qui, nei panni di Blofeld, gigioneggia un po' troppo, dando vita ad un cattivo un po' "anonimo") riesce a risollevare le sorti di un film che sembra piuttosto un episodio ad alto budget di una serie televisiva, che un prodotto per il grande schermo.
Non ci fa una figura migliore l'Italia, dove viene mostrata una Roma eccessivamente patinata, piena di stereotipi, a cominciare dalla Bellucci, che, per inciso, continua a non farsi doppiare... fortunatamente il suo personaggio entra in scena per un paio di sequenze, giusto il tempo di farsi sbattere da Bond e poi via, verso nuove avventure.
Tirando le somme, si tratta di un mero prodotto d'intrattenimento, nulla di più, nulla di meno, e va visto come tale: se cercate un film con una storia solida e un cattivo eccezionale, rimarrete delusi, forse cercherete di salvare capra e cavoli se siete fan sfegatati di 007, ma per il resto si tratta di una pellicola abbastanza mediocre, che a stento raggiunge la sufficienza.             

mercoledì 11 novembre 2015

Film che consiglio - Speciale Spaghetti Western

Ordunque, rieccoci all'ennesimo speciale della nostra bella rubrica. Stavolta affronterò i classici del western all'italiana, detti volgarmente "Spaghetti Western". Eviterò di citarvi i soliti, tipo la filmografia di Sergio Leone, che ormai tutti dovrebbero aver visto e stravisto, ed eviterò pure Django che, grazie al film di Tarantino, ormai conoscono tutti... pensate che una volta, quando chiedevo: "Conoscete Django?", la gente pensava che mi riferissi ad un transessuale cubano...

Vamos a matar compañeros



Un piccolo cult diretto da Corbucci (il regista del già citato Django). Io lo guardavo sempre da piccolo, dato che lo proiettavano in continuazione, anche un paio di volte a settimana, su Italia 7 (un canale che ormai non esiste più). La storia in breve: Durante la rivoluzione messicana, s'intrecciano le vite di due gueriglieri, ovvero il rivoluzionario messicano "El Vasco" (Tomas MIlian), e il mercenario svedese Yodalf Peterson (Franco Nero), entrambi agli ordini del generale Mongo, i quali vengono spediti in missione per recuperare il professor Xantos e impossessarsi della combinazione per aprire così la sua cassaforte "colma" di ricchezze. Durante il viaggio, i due, ne passeranno di cotte e di crude, accompagnati dalla bella colonna sonora di Morricone (per me indimenticabile). Il personaggio di Milian è simpaticissimo (mantiene quasi tutto il film sulle sue spalle), e la regia di Corbucci funziona a dovere. Quindi, se non l'avete mai visto, recuperatelo. 
Prima di passare al prossimo, ho un piccolo appello da fare: posso chiedere alla Cecchi Gori di distribuire un'edizione DVD migliore (questa volta davvero con audio e video restaurati), e di correggere, per favore, l'eclatante errore che si trova sul supporto?


Ma davvero? Cioè, sul serio? E lo dico con tutto il rispetto per Lenzi...
      

Faccia a faccia



Il film di Sergio Sollima (padre di Stefano, regista di Suburra, Gomorra, A.C.A.B. e compagnia bella) presenta un intreccio piuttosto atipico e psicologico, ed evidenzia quanto l'uomo, anche apparentemente il più pacifico e pacato, nasconda in sé un distruttivo lato oscuro. In questo caso, l'uomo pacato è un mite professore interpretato dal sempre grande Gian Maria Volontè che, rapito dal violento bandito Solomon Bennet (ancora Milian), ne rimarrà talmente affascinato da tramutarsi a sua volta in un uomo malvagio e fanatico, divenendo ancor più spietato del suo "mentore"; allo stesso modo, Milian si lascerà "ammorbidire" dagli iniziali modi gentili del professore. La pellicola mostra insomma uno scambio delle parti, in cui il buono diventa cattivo e viceversa: questa situazione, come si evince, porterà allo scontro inevitabile le due personalità, specchio riflesso della nostra società, in cui e praticamente impossibile distinguere il bene dal male, uno parte integrante dell'altro. Un vero capolavoro che dovreste recuperare.  

I giorni dell'ira




Come la vita c'insegna, talvolta mentore e allievo vengono messi l'uno di fronte all'altro, spinti da motivazioni e ideologie diverse. Il film di Tonino Valerii racconta proprio questo: Giuliano Gemma interpreta un giovane garzone di nome Scott Mary, evitato e preso in giro da tutti. In città, però, arriva uno straniero (il grande Lee Van Cleef) che lo prenderà sotto la sua ala, insegnandogli a sparare e impartendogli 10 lezioni che accompagneranno lo spettatore per tutta la durata del film. Troppo tardi Mary si renderà conto di essersi affidato ad un uomo spietato e senza scrupoli: pur di fermare il suo maestro, il ragazzo sarà costretto a scontrarsi con lui in un duello all'ultimo sangue. Molti riconosceranno la colonna sonora di Riz Ortolani, che è stata inserita da Tarantino nel suo Django.  

I quattro dell'apocalisse




Lucio Fulci, in seguito noto per i suoi horror, confeziona un western crudo e disturbante, evidenziando situazioni surreali e paradossali. I protagonisti sono quattro disadattati (capeggiati dal baro Stubby, interpretato da Fabio Testi), in viaggio verso la libertà, dopo che la città in cui erano stati arrestati viene messa a ferro e a fuoco con il beneplacito dello sceriffo (sue le parole di voler epurare l'intera cittadina). Durante il viaggio accolgono nel loro gruppo un uomo che racconta di essere stato derubato. L'uomo, Chaco (di nuovo Milian), si rivelerà un feroce assassino (un vero e proprio serial killer) che li umilierà e torturerà prima di lasciarli in balia del deserto. A Stubby, non resterà che una sola cosa da fare: trovare Chaco e chiudere il cerchio. Fulci non si smentisce affatto, contaminando il western con l'horror, intingendolo di venature oniriche e crepuscolari. Il film risulta piuttosto originale, e gli appassionati non possono lasciarselo sfuggire. Da recuperare.

E sul film di Fulci io mi commiato. Alla prossima! ;)