giovedì 9 novembre 2017

IT - Le mie impressioni

In questi giorni Hollywood è in subbuglio per una paio di avvenimenti che stanno scombussolando lo starsystem: uno riguarda le molestie sessuali del caso Weinstein, l'altro è lo strepitoso successo (e non così inaspettato) che sta avendo IT, il film tratto dall'omonimo romanzo di Stephen King.
Sugli abusi di Weinstein se ne sta discutendo parecchio ancora adesso (e le accuse hanno raggiunto anche registi e produttori italiani), ed è indubbio che si tratti decisamente di un avvenimento più importante rispetto alla riuscita di un filmetto dell'orrore e mi piacerebbe poter approfondire la questione, ma siccome questo post è dedicato proprio ad IT (e metaforicamente le due vicende potrebbero anche specchiarsi l'una nell'altra in maniera inquietante), allora parleremo di quest'ultimo.
Visto l'esito positivo che sta accompagnando tale pellicola, sono stato un po' combattuto: avrei potuto conformarmi alla massa e piegarmi alla massiccia campagna pubblicitaria della Warner Bros, definendo il film una grande trasposizione per il cinema, o semplicemente dire quello che penso davvero: che non mi è piaciuto! E ho optato per la seconda! Ovviamente le mie opinioni possono essere condivisibili o meno, e in ogni caso cercherò di spiegare in dettaglio il mio punto di vista, tirando in ballo (cosa inevitabile) anche la bistrattata miniserie di inizio anni 90.


Da bambino la miniserie di IT mi terrorizzava, Tim Curry era davvero inquietante e anche la storia percorreva subdolamente i tempi, molto prima che storiacce molto reali diventassero giustamente di dominio pubblico: cos'è in realtà Pennywise, se non un disgustoso pedofilo eccitato dalle paure delle sue piccole vittime?
La miniserie era figlia palese dei suoi tempi, penalizzata indubbiamente da un budget non troppo elevato e da scelte registiche non sempre efficaci (talvolta conseguenze dirette del ristretto budget). Eppure, ancora a guardarla oggi, funziona, malgrado non sia invecchiata benissimo: innanzitutto non era banale e rispettava contestualmente a grandi linee il romanzo da cui era tratta; al contrario la pellicola di Muschietti, è riuscita a "insipidire" tutto quello che nel libro fu trattato con una certa sensibilità e anche una certa originalità da parte dell'autore.
In primis, sebbene non dovesse essere affatto un problema, è diverso il contesto storico: nel libro (e nella miniserie), quando i protagonisti sono ancora bambini, ci troviamo catapultati negli anni 50. Al di là dell'ovvia resa visiva con auto ed edifici dell'epoca, King era riuscito, con sorprendente sensibilità, a raccontare in maniera credibile quel clima razziale e sociale proprio di quegli anni, dove l'odio immotivato verso persone di colore era ancora palese e il rock'n roll muoveva i primi passi. Non era solo il giovane Mike a subire le angherie di un bullo, ma l'intera popolazione di colore che viveva a Derry scontava la pena di essere nata con la pelle scura (come il famoso episodio dell'incendio al "punto nero",  narrato proprio dal padre del ragazzo); persino nei giochi di bambini e negli atteggiamenti dei protagonisti si riscontravano echi lontani degli anni 50, con l'aggiunta di tutto quel finto puritanismo da parte delle famiglie.
Nulla di tutto ciò nel nuovo film, e non perché sia stato trasportato negli anni 80: fossero stati gli anni 90 o 2000, non sarebbe cambiato assolutamente nulla, semplicemente non c'è nulla nella pellicola che caratterizzi quel periodo (e anche gli anni 80 furono tumultuosi in America, eccome!)... giusto qualche poster buttato qui e lì, e qualche infelice gag che mi ha fatto storcere il naso più che farmi sorridere. Cioè, Stranger Things, in una manciata di inquadrature mi ha letteralmente fatto respirare a pieni polmoni i veri anni 80 (con tanto di colonna sonora d'epoca)! Questa pellicola no! Perché a Muschietti interessava solo portare sullo schermo un pagliaccio che fa scherzi atroci a dei bambini, dimenticandosi di tutto il resto! Il che è un peccato, perché gli anni 80 erano comunque caratteristici non solo nel loro contesto sociale, ma anche dal punto di vista visivo; forse poco eleganti (per questo avrei preferito vedere ancora gli anni 50), ma certamente non del tutto anonimi come appaiono in questa trasposizione.
Inoltre, per quanto in molti abbiano obiettato una certa poca attinenza della miniserie al romanzo originale, come si potrebbe definire questo film, che ha totalmente riscritto (anche in modo superficiale) intere sequenze e omesso particolari decisamente interessanti?
La miniserie segue indubbiamente in maniera più fedele il romanzo, mentre invece la pellicola di Muschietti se ne distacca totalmente. La "poca aderenza" della miniserie era dovuta più ai limiti tecnici dell'epoca e al minutaggio, già eccessivo, dei due episodi, piuttosto che ad un lavoro irrispettoso verso il libro. Vero, non c'era il rito di Chud né quello del fumo, ma non avrebbero trovato spazio, non solo a causa della difficile trasposizione nello svolgimento della vicenda, ma soprattutto per la loro complessa resa visiva, dato che il primo era una sorta di battaglia psichica tra IT e i ragazzi. Quindi non stupisce che non ci siano neppure qui, come continua a non esserci "il grande uccello" di Mike Hanlon - sì, lo so, potrebbe sembrare un doppio senso, almeno se ci affidassimo al solito stereotipo nero - né il licantropo di Ritche e Bill (che invece appariva nella miniserie). Neppure la mancanza di queste caratteristiche "paure" doveva essere un problema... se almeno le avessero sostituite con delle soluzioni più originali... lo stesso dicasi per il rito di Chud, dove di certo non mi andava di assistere ad una "banale" scazzottata tra la creatura e i ragazzi che, tra le risa, mi ha rammentato la fine che Kurt Russell faceva in "A prova di morte" di Tarantino.
Il lavoro di Muschietti tratta in maniera superficiale soprattutto le relazioni tra i protagonisti, rendendoli meno credibili che nel libro; ad esempio il rapporto tra i due fratelli (Bill e Georgie), che nel romanzo si punzecchiano l'un l'altro, mentre nella pellicola sembrano usciti, tra abbracci e smancerie, da una pubblicità del mulino bianco.
Inoltre la serrata caccia al mostro da parte dei perdenti si trasforma, nella sequenza finale, in un ben più banale (ma quante volte ho utilizzato questa parola?) salvataggio della pulzella di turno, che nel libro era almeno riservato alla moglie di Bill da adulto (nella seconda parte cosa faranno? Riproporranno praticamente la stessa cosa?). Non vengono neppure approfonditi alcuni interessantissimi personaggi come Patrick Hockstetter (un vero e proprio sociopatico in miniatura), il quale rimane sullo sfondo, come carne da macello per IT/Pennywise.
Posso comprendere il problema della durata fino ad un certo punto, ma non tale da stravolgere situazioni e personaggi; la miniserie, che durava poco di più di questo film, era riuscita a condensare molto meglio sia le atmosfere che i personaggi, mostrando persino l'età adulta dei protagonisti. Il film non ci è riuscito, dandomi la sensazione che nemmeno abbia avuto voglia di provarci.
Senza contare che dalla sua, l'opera di Wallace, aveva pure una grande performance di Tim Curry: asciutta e senza fronzoli, perfettamente dosata tra ironia ed inquietudine... ma soprattutto NATURALE. Al contrario, l'interpretazione di Bill Skarsgård è troppo sopra le righe, troppo da fumetto per dirla in parole semplici, a volte sembra di vedere più il Joker di Batman, che una demoniaca presenza eterna e onnipotente; inoltre la sua performance è penalizzata dal trucco troppo pesante e da un utilizzo eccessivo della CGI (che non è nemmeno di alto livello, a dirla tutta).
Quindi, in conclusione, questo film è da buttare? No, ma non si tratta neppure del capolavoro di cui la critica tesse le lodi da prima addirittura della sua uscita: "IT" non è nient'altro che un discreto horror movie del sabato sera: nulla di più, nulla di meno. Tutto qui.
Non è un film da ricordare, per quanto si possa essere contrari con questa affermazione. E inoltre non è assolutamente al livello delle pellicole di James Wan (forse lui sarebbe stato una scelta più saggia per IT), cercando di rispondere a qualcuno che ha azzardato il paragone.
E con questo è tutto. Prima di lasciarvi, una curiosità sul doppiaggio italiano: Massimo Lodolo, che qui doppia il padre di Bev, prestava invece la sua voce al Ritche adulto della miniserie televisiva.

Alla prossima! 🙂

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