I due, Claudio e Scipione, scesero in cortile; erano accompagnati da una folta schiera di pretoriani, armati con armi da fuoco e da taglio. Si fermarono a quattro metri dal blindato: dalla cabina di comando dell'automezzo uscì un centurione, armato anch'egli fino ai denti. Si avvicinò con cautela alle porte posteriori del blindato, e prima di spalancarle, salutò Scipione alzando la mano verso di lui: «Ave, comandante Scipione!», quindi guardò verso Claudio: «Senatore!», esclamò a gran voce. «Sei rimasto indietro con la memoria, Centurione: non sono più un comandante», fece Scipione, «Ma solo un umile mercante di morte». Claudio sembrò spazientirsi: «Bando alle ciance!», urlò, «Apri queste porte, centurione!». L'uomo obbedì, e con fare sospettoso aprì con ferma lentezza le pesanti porte d'acciaio del mezzo. Quando furono del tutto spalancate, si poté notare quanto tutto fosse oscuro all'interno di quella carretta: in quelle tenebre non si distingueva un palmo dal naso, ma il terrore di Claudio si riaccese ben presto, quando udì un rumore stridente, come qualcosa di metallico che sbatteva per terra. Poco dopo, come un'ombra che si stacca dal buio animandosi di vita propria, comparve un giovane, di piccola statura, un vero e proprio scricciolo, con i lineamenti delicati, e un paio di piccoli occhiali tondeggianti sul naso, con mani e piedi legati da una grossa e robusta catena di metallo, che egli trascinava stancamente. Scipione trattenne a stento un sorriso: «Sarebbe questo il killer? Lo spietato assassino?». Claudio scosse la testa: «Non lasciarti ingannare dall'apparenza». «Ma è solo un ragazzino…», fece Scipione, grattandosi la testa. «Certo, solo un ragazzino», disse il senatore, con fare ironico. «Beh? Che si fa, ora?», chiese Scipione. Claudio fece spallucce: «Per il momento noi andiamo via, Scipione, appena sapremo qualcosa di concreto, ti contatteremo!». Il senatore si affrettò a salire di corsa sulla limousine con cui aveva preceduto il blindato. Abbassò il finestrino e fissò a lungo Scipione: «Servi con lealtà il tuo imperatore…», disse infine, quindi chiese al suo autista di mettere in moto. L'auto sparì, inghiottita dalla folta foresta, e poco dopo, anche il blindato fece lo stesso. Il direttore scosse la testa, sbuffando; non ne poteva più di sentirsi trattato come una puttana: «Per quanto mi riguarda tu e il tuo Cesare potete anche succhiarmi il cazzo!», urlò a squarciagola, cercando in quelle parole di lenire la sua frustrazione. Poi, ancora turbato, guardò il ragazzo appena giunto. Anche il giovane ricambiò il suo sguardo, fissandolo con occhi gelidi. Scipione annuì, abbozzando un sorriso: «Bah… lavatelo, compilate tutte le scartoffie, e dopo portatelo da me, nel mio ufficio!», disse, rivolgendosi ai suoi pretoriani.
Il giovane fu sottoposto a tutte le cure mediche necessarie, fu lavato, e interrogato, e solo quando tutte queste procedure ebbero fine, fu portato immediatamente al cospetto del direttore.
«Allora, come si chiama questo giovanotto?», chiese Scipione, sorseggiando ancora del brandy, preso dalla sua amata bottiglia, da cui mai si separava.
Il pretoriano scosse la testa: «Abbiamo cominciato a interrogarlo, ma non ha risposto, signore», disse, «Così lo abbiamo registrato con un nome di circostanza». «Quale nome?», chiese interessato Scipione. «Rudis», sentenziò la guardia. Il direttore scoppiò a ridere: «Non sareste riusciti a trovare un buon nome, nemmeno se fosse stata Nike in persona a suggerirvelo…», poi si avvicinò al ragazzo, guardandolo negli occhi, «Bene, questo è il tuo nuovo nome, ti piace?». Scipione si diresse in seguito verso la finestra, continuando a sorseggiare dal suo bicchiere: «Si sono dette strane cose su di te, Rudis, anche strabilianti!», disse, «Adesso voglio vedere se sono vere… io mi chiamo Ernest Karol Scipione, detto il norvegese, e sono il direttore di questo carcere… da oggi in avanti la tua vita mi appartiene: decido io quando mangi, quando pisci e quando caghi… e naturalmente quando morirai… e se lo farai, sarà solo nella sabbia dell'arena». Dopo aver vuotato il bicchiere, lo poggiò sulla sua scrivania: «Chiamatemi Amergan!», disse rivolgendosi, infine, ad uno dei soldati. Il pretoriano annuì, e si precipitò fuori dall'ufficio; tornò dopo una decina di minuti, accompagnato da un vecchietto di pelle scura con la barba bianca e un cappelletto piantato sulla testa. il vecchietto accennò un saluto a tutti nella stanza. I presenti ricambiarono il saluto, anche Scipione. «Cosa posso fare per te, signore?». Il direttore sospirò: «Amergan, ti affido questo ragazzo, preparalo per l'arena». Il vecchietto sobbalzò: «Vuoi un incontro, oggi? Ma... signore?». Scipione annuì: «Sì… voglio che combatta contro Luds…». Amergan sgranò gli occhi: «Contro Luds, signore?». «Sì…», disse il direttore, «E non togliergli le catene, per nessun motivo: combatterà con quelle». Il vecchietto si grattò il capo: «Ma signore…». «Niente "ma"… questo è un pericoloso criminale e non può stare senza: se vincerà, potrà togliersele per tutti gli incontri a venire, ma dovrà continuare a tenerle quando non si troverà nell'arena… dovrà guadagnarsi questo diritto! E se lo guadagnerà se farà il bravo». «A me sembra calmissimo», osservò Amergan. «Silenzio, vecchio!», esclamò il pretoriano di fianco a lui. «Ehi, tu!», urlò Scipione, rivolgendosi al soldato, «Non ti azzardare mai più ad alzare la voce con quest'uomo!». Il soldato arrossì, sentendosi ammonito in malo modo. «Non sei nemmeno degno di leccargli il culo!», continuò il direttore. Il soldato abbassò mestamente il capo: «Mi perdoni, signore», disse infine. Amergan sorrise: «Suvvia, non è il caso…». Scipione alzò una mano verso il vecchietto, chiedendogli, con quel gesto, di arrestare le sue parole: «Non ti immischiare, Amergan… piuttosto fai come ti ho detto…». Amergan annuì: «Va bene… ma signore… perché Luds? Potremmo trovargli un avversario più alla sua portata». «Sto solo cercando di metterlo alla prova, vecchio mio… ora va!», ordinò Scipione. Amergan afferrò il giovane per il bracciò e lo portò via, mentre le sue catene stridevano sul pavimento, producendo un rumore assordante. Scipione chiese ai suoi pretoriani di essere lasciato solo, quindi si mise a sedere sulla sua poltrona: "Adesso vedremo se sei così pericoloso come si dice!", penso tra sé e sé.
Nessun commento:
Posta un commento