Un racconto vecchissimo, e mai terminato, di cui vi posto qui la prima parte (per il momento sono cinque in totale)... magari è la volta giusta per portare a termine la storia. Non ho corretto niente, ho lasciato tutto come quando lo cominciai...
Il direttore Scipione era nel suo ufficio, alla finestra, e guardava malinconicamente il paesaggio montuoso che si estendeva, vasto e terrificante, tutto intorno alla sua prigione. Alcuni fastidiosi quesiti turbavano assiduamente la sua stanca mente: sarebbe mai tornato a casa? Avrebbe visto ancora una volta i suoi figli? Cosa faceva la moglie in sua assenza? Sentiva anche lei la sua mancanza? Erano queste le domande che lo tormentavano ormai da ben tre anni, quando fu trasferito, in quell'inferno in terra. Scosse la testa, cercando di liberarsi da questi pensieri, poi si sedette alla sua scrivania, aprì uno dei cassetti e afferrò la costosa bottiglia di brandy che ivi si trovava: se ne versò un po' nel bicchiere, e cominciò a bere avidamente quel nettare squisito .
il pretoriano di guardia entrò di soprassalto nel suo studio: «Signore… il senatore Claudio è qui, vorrebbe parlarle…». «Cosa?», fece Scipione, «Ma che diavolo ci fa qui, quella vecchia mummia?». «Non saprei», rispose il pretoriano, «Dice che è una questione urgente». Il direttore sospirò: «Va bene, fallo passare!». Dalla porta entrò un uomo estremamente alto e quanto mai regale nel portamento, vestito all'ultima moda romana, come si confaceva ad una persona del suo rango. Scipione abbozzò un sorriso e allargò le braccia: « Mio caro senatore… ebbene, quale è stato il motivo che ha costretto il tuo nobile sedere a venire qui, in queste terre dimenticate dagli Dei?». Il senatore Claudio si sedette sulla sedia di fronte alla scrivania: «Non far lo spiritoso, Ernest, e mostra un minimo di rispetto», lo ammonì. «Rispetto?», ripeté Scipione, e non poté fare a meno di lasciar trasparire un pizzico di sarcasmo.
«Dopo anni di onorata carriera nelle legioni Pegaso, tu e il tuo amato imperatore mi avete spedito in questa prigione, fuori dal mondo! Che rispetto dovrei avere per voi?», urlò, poi, a squarciagola. Claudio sorrise di un sorriso perfido: «Dovresti essere grato a Cesare: qui hai i tuoi soldi, le tue puttane, gestisci il tuo piccolo regno in totale libertà», disse. Scipione Scosse il capo, digrignando i denti, e alzò maggiormente la voce: «Il mio posto era sul campo di battaglia! Sai da quanto manco da casa, poi?». Il senatore si alzò dalla sedia, di scatto: «Ora il tuo posto è qui!», urlò a sua volta, «E non osare mai più discutere con me, sono stato chiaro?». Scipione annuì, abbassando lo sguardo mestamente. Claudio tornò a sedere, sospirando: «Comunque, sono qui per avvisarti dell'arrivo di un nuovo detenuto, il blindato che lo trasporta sarà qui a momenti». Scipione fece spallucce: «Un nuovo detenuto? Perché non sono stato informato? E poi ti sei scomodato, solo per venire a dirmi questo? ». Il sentore socchiuse gli occhi, e si grattò nervosamente il capo, cominciando a sudare inspiegabilmente: «La faccenda è molto delicata, e questo uomo che sta arrivando qui, è molto diverso da quelli che gestisci di solito… dovrai tenerlo d'occhio, è il volere di Cesare». «Cosa ha fatto?», chiese stancamente il direttore. Il senatore Claudio quasi esitava a parlare, si guardava intorno con sospetto, inspirando fortemente: «Beh… avrai sentito del pazzo che si è fatto esplodere nel senato, un paio di settimane fa…». Scipione trattenne a stento una risata: «Certo, senatore: ne hanno parlato i giornali, la televisione, è stato il caso mediatico più seguito di tutto il mondo…», disse, «E so che non è sopravvissuto nessuno…». Il senatore scosse la testa: «Sbagli… abbiamo preferito tenere il silenzio stampa: un sopravvissuto c'è stato». «Sul serio?», chiese il direttore. Claudio si schiarì la voce: «Esatto… si tratta dell'uomo che ti siamo portando qui». Scipione appariva confuso: «Cosa… ma è un testimone, cosa ha fatto? Perché lo state portando qui? Non capisco!». «Non è un testimone: è l'attentatore…»,fece laconico il senatore. Scipione scoppiò a ridere: «Tu stai delirando!», esclamò, «Come può essere sopravvissuto? Si è fatto esplodere!». Claudio prese un fazzoletto dalla tasca, e si asciugò la fronte carica di sudore: «Certo… ma non lo sappiamo neanche noi come abbia fatto… quando lo abbiamo trasportato in ospedale era ridotto molto male, e per i medici non c'era nulla da fare… poi si è ripreso completamente: non aveva un solo graffio, era guarito, come se niente fosse accaduto». Quella faccenda cominciava ad essere intrigante per Scipione: «Lo avete interrogato, Claudio?», chiese con interesse. L'uomo annuì: «Certo… e non ha aperto bocca: non sappiamo nemmeno se sappia parlare… ». Il direttore assunse un espressione compiaciuta: «Vi state rammollendo: perché non avete usato metodi più "convincenti"?». «Lo abbiamo fatto…», disse Claudio, «Non solo non ha emesso un fiato, ma ha persino staccato a morsi la mandibola al suo interrogatore… nonostante fosse strettamente legato alla sedia». Scipione sobbalzò, all'udire quelle parole: «E lo state portando qui? Si può sapere perché?».L'uomo continuava a asciugare il sudore: «Perché Cesare non vuole che si sappia della sua presenza… ha bisogno riflettere sul da farsi, e questo è il posto adatto per tenere costui lontano da sguardi indiscreti, almeno momentaneamente». Il direttore sospirò stancamente: «E cosa devo farci con questo tizio?». Il senatore alzò i palmi delle mani verso il cielo: «Puoi farne ciò che vuoi… puoi anche farlo combattere nell'arena: che viva o muoia, è del tutto irrilevante». Il pretoriano di guardia irruppe nuovamente nella stanza: «Signore… è arrivato un blindato!», esclamò con veemenza. Claudio si alzò, sorrise nervosamente: «Ci siamo», fece, «è arrivato»; mentre pronunciava queste parole, la sua voce si mise a tremare come squarciata da una paura che quasi si poteva definire atavica…
«È arrivato», ripeté ancora…
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