Noto che parlo poco di fumetti in questo blog. Parlo con più lena e con maggior passione di film (ma riflettendoci, dopotutto cos'è un fumetto, se non un film realizzato a buon mercato?). Probabilmente è perché allo stato attuale, avendoli sempre davanti agli occhi, i fumetti, e lavorandoci costantemente, hanno anche cominciato a stancarmi: "l'illusione" l'ho capita, ovviamente non tutti i trucchi che ci sono dietro ogni singola pagina. E reputandomi anch'io un illusionista, quando capisco un trucco, ne vado a cercare un altro, in modo da poter imparare sempre cose nuove e poter sperimentare; certo, come tutti gli esperimenti, alcuni riescono e altri no; Però, oggi ho voglia di parlare di fumetti, di uno in particolare: Jiraishin, un pulp-noir di Tsutomu Takahashi, un autore che a me piace definire il Frank Miller giapponese, più per le tematiche che per il tratto grafico, però.
Jiraishin, tradotto vuol dire "fredda lama" (in America, infatti, il fumetto si chiama "Ice Blade") e, sebbene concluso da tempo (divenendo a tutti gli effetti un cult), trovo che a parlarne oggi con molte persone, nessuno lo ha mai sentito nominare... un vero peccato.
Il protagonista è Kyoya Iida, un poliziotto del quartiere di Shinjuku (quello di City Hunter). Kyoya indaga su numerosi casi criminali, che spaziano dalla "classica" caccia al serial killer di turno, fino ad arrivare a veri e propri intrighi politici, o anche vendette trasversali e via dicendo. Niente di nuovo, potrebbe sembrare; eppure, la particolarità del fumetto sta proprio nel suo protagonista e nella costruzione dei personaggi e della narrazione. Iida è emblematico, oscuro, distante da ciò che lo circonda, sempre rinchiuso nel mondo dentro la sua testa: in effetti sembra che alcuni tratti della sua personalità ricordino la sindrome di Asperger (di cui mi sa ne sono affetto anche io... e altri miliardi di persone... in realtà ho riscontrato che è una sindrome abbastanza comune). Perennemente taciturno, sembra vedere la realtà oltre la realtà stessa attraverso i suoi gelidi occhi, freddi come una lama (e qui torna il titolo del manga). Non ha vita sociale, non ha amici, non ha una ragazza, si potrebbe persino azzardare che non abbia rapporti sessuali: è una vera e propria macchina. Un automa, che si lascia scappare un sorriso solo quando si trova davanti ad un cadavere, alla morte, ovvero la cosa più sincera che si potrebbe trovare oggigiorno. Forse Iida stesso è la fredda lama del titolo. Non ha compassione per nessuno, sa bene come gira il mondo e come gira il sistema, e anche quando parla, sembra seguire un copione che gli è stato imposto. Apparentemente privo di sentimenti, Iida si sente vivo solo quando si trova davanti ad altri disadattati come lui, che si tratti di maniaci o di altri agenti di polizia. Restituisce gli smacchi, se il gioco vale la candela, o altrimenti lascia perdere, non lasciando trasparire alcuna emozione. Questo è in sintesi il protagonista. E le storie che lo circondano sono torbide, cattive, sporche e realistiche: nel mondo di Iida non c'è salvezza per nessuno, e quando dico nessuno, intendo proprio nessuno. Alcune vicende sono incredibilmente significative, altre invece fanno da cornice alla imperscrutabilità del carattere del protagonista, che si muove in una Tokyo decadente e perennemente ammantata di nero. Credo che Jiraishin sia una parabola sul male, sulle tenebre insite in ognuno di noi e non importa quale sia il nostro retaggio, non riusciremo mai a tenere del tutto a freno questa parte oscura. Ma, come fa Iida, ci si può convivere, cercando di spurgarla in qualche modo non nocivo per sé stessi e per gli altri. L'unico modo d'integrarsi, sembra suggerire l'autore.
Proprio il tratto grafico di Takahashi, sebbene in questa serie almeno agli inizi risulti ancora un po' acerbo, riesce a sottolineare alla perfezione il disagio di un Giappone alla deriva: talvolta, le fisionomie appena abbozzate (ma mai sballate), prive di dettagli, rendono bene l'aspetto onirico della vicenda. Il tratto è asciutto in alcuni momenti, e ricco di sfumature in altri. I dialoghi sono puliti e privi di giri di parole. Takahashi è diretto nel raccontare la storia (che si dipana in 18 volumi), e come ogni professionista che si rispetti fa in modo che siano le sue tavole a parlare. Nel manga in questione non capita certo di rado di trovarsi di fronte ad un numero impressionabile di pagine, prive di dialogo. Che dire, datemi del pazzo, ma credo che il segreto per far funzionare un buon fumetto sia proprio questo.
Tirando le somme, se nessuno ha mai letto Jirashin, credo che dovrebbe farlo, anche solo per riscoprire uno dei veri maestri rimasti del fumetto giapponese. Se interessati, degni di nota, dello stesso autore, vi consiglio anche "Alive" (da cui ne è stato tratto anche un film) e "Sky High" (ambientato nel regno dei morti). Un salutone.
Ciaoz
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